Carolus utriusque Siciliae rex, pulpis hostibus, constitutis legibus magistratibus, onoratis, literis, artibus excitatis, orbe pacato, theatrum quo se populus oblectaret edendum censuit, anno regni IV, CH. A. MDCCXXXVII

 

Epigrafe dettata da Bernardo Tanucci 

 

“Carlo, re delle due Sicilie, scacciati i nemici, celebrate le lettere, promosse le arti, restituita la pace al Regno ritenne che si dovesse edificare un teatro per il divertimento del popolo, il IV Anno del Regno, l’anno 1737 a.C.“

 

 

Nella notte del 4 novembre 1737 la signora Isabella, principessa di Caposele, rincasando dalla inaugurazione del San Carlo e non sapendo in che modo affaticare, perché si chiudano al sonno, i suoi belli occhi neri, scrive alla sua amica donna Violante Zanolin, a Venezia la seguente lettera.

Di casa, li 4 novembre 1737.

Amabilissima mia Violante,

La costanza della tua amicizia è sprone al mio affetto e in tale maniera da farmi del continuo aver presente la immagine tua, così nelle occasioni liete come pure nelle tristi. Sia qualunque il piacere o il dispiacere che l’anima mi tocchi, io sempre a te rivolgo il pensiero, e in quello io dico: Se presente l’avessi con me goderebbe la mia Violante! E, in questo sospiro: Se meco fosse l’amica, mia come il dolore mi rendarebbe men grave!

Sono le due ore della notte. Ritorno da teatro di San Carlo, questa sera per la prima volta aperto alla maraviglia dei Napolitani e con musica e ballo inaugurato alla invitta presenza di Sua Maestà, Dio guardi.

Il mio signor marito, principe di Caposele, che in questo momento si è menato nel letto e dorme, essendo stanco per lo continuo giro per li palchi di visita, possedeva, come tu ben sai, un palchetto al dismesso teatro di S. Bartolomeo, in dove pagavamo, di appalto solo ducati novanta. Lo stesso palco di seconda fila ci viene ora al San Carlo ducati settecentosessanta ma volentieri li vuol pagare mio marito per avere il piacere di godere della vicinanza della M.S. ed ossequiarla. Anzi, non ostante la mutazione dell’aria e il continuo piovere, mio marito si è portato lo scorso giovedì dall’Uditore dell’Esercito a fissare il palchetto.

Che spettacolo, Violante carissima! Della musica non ti parlo essendo che tu ben sai che io poco ne capisco di questa musica seria; mio marito dice che è stata lodatissima e difatti il pubblico con continui battimenti di mani le ha mostrato il suo gradimento. Ma io - giacchè siamo a quattr’occhi- ti dico che ci promaggior piacere quando Scarlatti se ne viene a suonare un allegro o un minuetto al clavicembalo di casa nostra. Che dir ti posso? Sarro potrà essere un maestro di cappella rispettabilissimo, ma pel teatro, secondo il mio debole parere, è troppo lamentoso. Sua Maestà, Dio guardi, se l’ha fatta a dormire quasi tutta la serata.

Insomma musica seria, bella mia, ma seria assai e non fatta per li nostri orecchi.

Mi sono alquanto dispiaciuta nell’udire da mio marito, informatosene dall’Uditore, che non si potesse da noi piazzare Impresa alcuna di casa nostra al palchetto fittato. Il Re, Dio guardi, ha ordinato che niuno dei proprietarii possa fare scolpire o dipingere nemmeno in cifra le Armi del suo Casato nel palco, o altro contrassegno che dinoti Impresa dello stemma gentilizio della famiglia. Mi ha fatto sommo piacere, al rincontro, l’ordine pure da S.M. emanato che non si dovesse fumare nelli corridoi, per evitare lo sconvolgimento di stomaco delle Dame. Per simile dannoso incomodo il dismesso teatro San Bartolomeo era diventato una caserma e tu sai come soffro in simili contingenze che poco onorano la nobiltà.

Violante mia, che lumiere, che sfarzo che colpo d’occhio!. Il Re è arrivato in punto all’ora fissata per il principio dello spettacolo e subito la conversazione ch’era nelli palchetti e platea si è interrotta. Il primo cembalo ha attaccato il real pezzo seu l’inno e sono scoppiati immensi battiti di mani con grida di: viva il Re! Viva la Regina!, con levarsi tutti all’impiedi e con riverenze S.M. la Regina, Dio guardi, stava un prodigio e sembrava, in lontananza, bella al maggior segno, abbenchè mi si dice da chi ha potuto avere la fortuna di avvicinarla che sia alquanto rovinata dal vaiuolo in faccia. Il suo  pellucchero non è dei più famosi né S.M. troppo s’intrattiene alla tualetta, per esser pittosto di modesti e religiosi costumi; la sua tualetta è l’orat5orio, la sua acqua di odori è l’acqua santa. Benedetta! Così potessi fare anch’io, preparandomi il posto in paradiso. Ma il mio confessore, don Pietro Vigorito a San Giacomo, mi ha detto che la tualetta si può fare quando è fatta senza iscandalo e con nobile tranquillità. Se vuoi sapere come mi sono accomodata con l’aiuto ingegnosissimo dell’abate Zanetti, che tu avesti a conoscere l’anno scorso e che vive di me prigione, eccoti soddisfatta.

Pettinatura all’Amadigi, abbenchè poco mi garbi. Però il pellucchiero dice cheli ricci cintornano amabilmente l’ovale del mio volto, e bisogna sentire il pellucchiero. Le moschette si portanoin quantità ma non mi sono adatte se non che una passionata, due galanti, e una assassina all’angolo delle labbra. Nei capegli ho messo alcune perle delle stesse di cui mi stava un filo doppio al collo nudo.

Anche il corsetto tortorella, molto lungo e appuntato come si porta, era filettatoin lungo di perlee così tante aperture delle maniche a sbuffi, alli margini. Tutta la guarnizione, con alcuni altri complimenti, è amabil dono di mio marito che l’ha comperata a Parigi. La veste è quella che tu ben consc, di setadi color di rosae tulipani a rilievo. Ne ho fatto mutare i falbalà e ci ho messo frangia di merli d’argento che fanno più figura. Alli sgonfii laterali una guarnizione di nocchette naccarà, che ci stavano un amore. Ventaglio con pitture di un certo Fragonard di Parigi, anche dono di mio marito. Mi dicono che è meraviglioso. Io tutta questa meraviglia non ce la trovo: due puttini, un cane e un poco d’erba, questo è tutto. Invece la montatura d’avolio è ricca assai; le bacchette sono traforate e con il traforo formano il mio nome.

Forse mi sono scollata un po' troppo; il principino di Tarsia, che stava nel palchetto accanto al nostro, se l’ha fatta a sbirciarmi tutta la serata. Peggio per lui. All’uscita mi ha servita di braccio quel giovane viniziano, ospite del duca di Telese, nostro vicino di casa. Giovane alquanto pericoloso. Mi andava dicendo per li corridoi che io odoravo tre mia lontan, ch’era stata tra le più belle della festa, che meritava un trono. E ogni volta soggiungeva sottovoce: - Mi perdarò la salute, siora Isabela!

Vengo all’opera in musica. La Tesi è stata un portento nella parte di Achille che è uscito vestito da donna, come prescrive il libretto. La Peruzzi mi è piaciuta più assai; è piccona di statura, acconciata ed ha un timbro di voce squisito. La Tesi mi pareva il gigante di Palazzo. Il tenore Amorevoli è stato sorpassato dal secondo uomo Marianino che si attraeva l’universale applauso. Scene stupende del Richini di Torino e ballerini dei migliori, che molto hanno dilettato S.M. fino all’ ultimo padedù. Al grido finale del coro, nel Prologo in dove apparivano la Magnificenza, la Gloria e la Celerità, tutti levatisi in piedi hanno gridato: Viva Carlo! E il re con ripetuti abbassamenti del capo ha mostrato il suo Real gradimento.

Mi è piaciuto di leggere un Reale dispaccio appeso in corridoio, che non sia permesso di salire sulla scena né prima né dopo la recita sotto pena di due anni di arresto in Castelnuovo per i nobili. Caposele mio marito non ripeterà le sue prodezze del San Bartolomeo. Se tu sapessi che mi ha fatto passare per la cantarina Rosa Albertini, che poi fu uccisa, poveretta!

Nemmeno si può plaudire senza che il Re o la Regina non ne diano il segno, né far replicare qualche aria che incontri piacere, e ciò per non fare campeggiare alcune poco decenti protezioni le quali danno bastantissimo motivo di mormorare.

Tu mi dirai: - Come è stato in così poco tempo fabbricato un così immenso teatro? – Che dir ti posso? La mia mente ancora stordita dallo spettacolo mi pare immersa in un sogno. Tornando a Napoli vedrai, mia dolcissima Violante, cosa che non ha al mondo intero la somigliante, per lusso, per ricchezza, per vastosità. Più che mai ti desidero vicina in questo rincontro, onde mirar tu possa ben presto lo sfarzo di Napoli, delle dame e cavalieri in così nobil luogo raccolti.

Termino con abbracciarti ripetutamente, pregandoti se non ti è di grave incomodo, di farmi avere il quaresimale del padre Sampieri, che mi dicono dottissimo, e due paccotti della tua cipria al bergamotto con un paio di guanti fini e lo “zendaletto” viniziano che mi promettesti. Scusami, perdonami, Violante carissima, ma la tua bontà mi spinge. Benedeto el pare che t’ha fata! Con mille e millebaci.

-Tua:

SABELLA CAPOSELE

 

 

Il San Carlo del Medrano:

Data e spettacolo di apertura: 4 novembre 1737, con l’Achille in Sciro, musica di Domenico Sarro, libretto di Pietro Metastasio, scene di Pietro Righini.

Anni di attività: 1737 – 1816

Ubicazione: nel Palazzo Vecchio dei Vicerè, tra largo del Castello e il largo del Real Palazzo 

Committenza: Carlo di Borbone

Autore del progetto: Giovanni Antonio Medrano

Realizzazione: Angelo Carasale

Tipologia: teatro all’italiana su pianta a ferro di cavallo, con sei ordini di palchi (28, oltre il palco reale, nelle prime tre file, e 30 negli altri)

Dimensione platea: larghezza m. 21,70; lunghezza m. 23,20; altezza m. 19,50

Dimensione boccascena: larghezza m. 15,80; altezza 16,30

Dimensione palcoscenico: larghezza m. 33,00; lunghezza m. 24,70; altezza m. 18,40

Capienza: 2400 posti (600 in platea; 1800 nei palchi)

 

Destinazione d’uso: dramma per musica.

Stagioni: autunno, inverno, primavera, estate.

 

Gestione: governativa dal 1737 al 1747 e dal 1780 al 1786, negli anni intermedi ed in seguito impresariale.

Giovanni Antonio Medrano

Pianta firmata e datata 22 marzo 1737

disegno a penna acquerellato

Napoli, Museo Nazionale di San Martino

Il San Carlo del Niccolini

Data e spettacolo di apertura: 12 gennaio 1817, con la cantata Il sogno di Partenope, musica di Simone Mayr su libretto di Urbano Lampredi e il ballo La Virtù premiata, coreografia di Luigi Duport su musiche di Roberto von Gallenberg, scene di Antonio Niccolini.

Anno di attività: dal 1817 ad oggi.

Ubicazione: sull’area del distrutto teatro di San Carlo, tra il Largo del Castello e Piazza San Ferdinando.

Committenza: Ferdinando I di Borbone.

Autore del progetto: Antonio Niccolini.

Realizzazione: Domenico Barbaja.

Palcoscenico macchinato: Giacomo Pregliasco.

Tipologia: teatro all’italiana su pianta a ferrodi cavallo con 6 ordini di palchi (26 più 2 barcaccie al primo, 28 più palco reale e 2 barcaccie al secondo ed al terzo, 30 più 2 barcacie al quarto, al quinto ed al sesto.

Dimensione platea: larghezza m. 24,00; lunghezza m. 25,00; altezza m. 22,83.

Dimensione boccascena: larghezza m. 17,00; altezza m. 18,00.

Dimensione del palcoscenico: larghezza m. 35,00; lunghezza m. 22,50; altezza m. 29,00.

Capienza: 2500 spettatori.

 

Destinazione d’uso: opera lirica, balli e concerti.

Stagioni: autunno, inverno, primavera, estate.

Gestione: impresariale fino all’Istituzione dell’Ente Autonomo Teatro San Carlo, avvenuta nel 1927.

 

Modifiche e restauri:

1742, intervento di Giuseppe Maria Galli Bibiena per migliorare l’acustica della sala;

1767, Ferdinando Fuga aggiunge otto barcacce, un proscenio aggettante, specchi e decorazioni nella sala;

1797, Domenico Chielli rinnova le decorazioni e dieci anni dopo festoni, candelabri, specchi e palchi;

 

1809 – 1810, Antonio Niccolini apporta alcune modifiche al palcoscenico, inserisce una coppia di colonne nell’arcoscenico, inclina il piano della platea, aggiunge la navicella acustica, dispone le poltroncine secondo una linea curva, rinnova il soffitto e le decorazioni della sala;

Interventi e restauri

1824, Antonio Niccolini apporta migliorie al palcoscenico.

1834, Antonio Niccolini cura un restauro della sala.

1840, si installa un impianto di illuminazione a gas.

1844, Antonio Niccolini provvede a un ulteriore restauro della sala mutando in rosso il colore della tappezzeria, nuovo impianto di illuminazione a gas

1844-1855, su progetto di Francesco Gavaudan e Pietro Gesuè si realizza il prospetto su piazza San Ferdinando.

1855, altro restauro della sala e nuovo sipario di Giuseppe Mancinelli.

1890, si introduce l’illuminazione elettrica.

1927, nel corso dei lavori di rifacimento delle coperture in cemento armato, diretti dall’ingegnere Mario Folinea, l’altezza del palcoscenico viene aumentata di m. 4,50.

1937, su progetto dell’ingegnere Michele Platania si costruisce il foyer.

 

1941, si arretra il palcoscenico di m. 2,75 e si ripristina la “navicella acustica”.